Portfolio

Indice gallerie

Incisioni

Metato

Degli alberi e dei fiori

Luci ed ombre

Come in una bolla

Il popolo dei boschi

Gabriella

Radices

Incisioni

Il lavoro rappresenta la flora (piccoli germogli o alberi adulti di Robinia pseudoacacia e Populus nigra) del lago Bilancino a Barberino di Mugello, ripresa all’alba o raramente al tramonto nel corso di più sedute di scatti.
È una flora che nasce sulle sponde quando la stagione è secca e poi rimane sommersa nella parte basale nel corso dell’anno. Per difendersi dalla asfissia radicale, gli alberi emettono radici superficiali al di sopra del colletto.
Ho voluto rappresentarla in modo etereo come creature fuoriuscite dall’acqua a rappresentare il frutto che il lago mette a disposizione di chi ne sa apprezzare la bellezza. La selezione è una piccola parte degli scatti raccolti e selezionati con difficoltà data la ampia varietà di situazioni che il lago offre nel corso dell’anno.

Metato

Un mestiere antico. Tramandato nel tempo e abbandonato per un certo periodo di tempo. Riscoperto da non molto per effetto della crisi di lavoro nelle località di montagna dell’Appennino toscano. Comunque un’attività familiare, che è stata fonte di nutrimento per periodi difficili. Dalla castagna alla farina dolce.

Attraverso i vari passaggi della produzione, della sbucciatura e cernita e della molitura. Il tutto effettuato a pochi km di distanza dai castagneti, con strutture antiche ma assolutamente efficaci. L’attività coinvolge varie persone e gruppi familiari ed è coinvolgente per la pace che si respira nei castagneti, per la frenesia della fase di sbucciatura e per l’attesa della qualità del prodotto nella ultima operazione di molitura.

Il lavoro cerca di trasmettere queste sensazioni che l’autore ha respirato insieme ai protagonisti partecipando alle varie fasi e immergendosi nell’attività per testimoniare la passione, la concentrazione e l’impegno che traspare nei volti e che proviene dall’amore per il territorio e per la natura e dal sentirsi utili.

Degli alberi e dei fiori

Leonardo, fin dall’infanzia ha avuto modo di conoscere il mondo della natura, accompagnato sui luoghi del Montalbano da suo nonno Antonio e da suo zio Francesco. Come sua abitudine, osservava e poi si poneva domande che, per quanto riguarda la botanica, cercavano risposte ad esempio sul rapporto tra forma e funzione degli organi delle piante.

Tutti gli scritti su questo argomento sono riportati nel “Trattato sulla pittura – Libro sesto – Degli alberi e delle verdure”.

Leonardo dimostra grande sensibilità per il mondo naturale a cui dà molta importanza; il suo merito consiste nel valutare le piante in quanto tali. Fino ad allora infatti le piante erano state studiate solo in modo descrittivo e come accessorie alle arti medicamentose.

Di questo mondo naturale, Leonardo vuole scoprire le regole. A questo proposito fu un precursore della fillotassi, cioè del modo in cui sono disposte le foglie lungo il fusto, secondo regole precise, in funzione della massima capacità di illuminazione. Intuì il geotropismo e il fototropismo, ipotizzò la fotosintesi clorofilliana e l’assorbimento radicale.

In pratica fu il presursore della botanica. Ipotizzò poi il metodo scientifico che, partendo dall’osservazione accurata (e la riproduzione con disegni), portasse alla conoscenza attraverso il ragionamento logico. «Mia intenzione è allegare prima la sperenzia e po’ colla ragione dimostrare perché tale sperenzia è costretta in tal modo ad operare».

In particolare fu infatti un eccezionale descrittore delle piante, che rappresentò nei minimi particolari, nei suoi disegni conservati nella Raccolta di Windsor e in vari suoi dipinti leggendari. Il lavoro fotografico consiste di immagini che, in parte raffigurano più fedelmente possibile disegni botanici di Leonardo, e in parte interpretano in modo personale piante scelte da Leonardo in alcuni dei suoi disegni e dipinti.

Luci ed ombre

«Il clown è uno specchio in cui l’uomo si rivede in grottesca, deforme, buffa immagine. È proprio l’ombra, ci sarà sempre…» (Federico Fellini)

Elder appartiene ad una famiglia circense. Il suo destino è lavorare nel circo di famiglia. Il ruolo è deciso dalle sue doti naturali che lo indirizzano verso l’attività di clown. Un bravo clown deve essere se stesso anche se stravolto nell’aspetto con trucchi e travestimenti. Ma nello stesso tempo deve mostrarsi sempre allegro anche se non sempre lo stato d’animo è quello giusto. In fondo è un classico dello spettacolo comparare gioia/tristezza del clown, quest’ultima ben evidenziata dal trucco dei vecchi clown che si dipingevano sul viso una finta lacrima.

Anche Elder non sfugge a questo clichet mostrando momenti di luce e momenti di riflessione nel corso del suo spettacolo che in fondo è una componente essenziale e costante della sua vita.

Elder è un clown moderno. Lavora da solo e quindi non potendo basarsi sulla contrapposizione clown augusto/clown bianco, come nelle grandi coppie del passato (in cui l’augusto svolgeva la parte del razionale mentre il bianco era la fantasia, la disobbedienza, la libertà), ha bisogno del rapporto diretto con il pubblico, che coinvolge nelle sue gags in modo costante.

Come in una bolla

Mario e Cira si conoscono da sempre perché nati entrambi a Montepiano, un piccolo paese dell’Appennino Tosco Emiliano; sposati da oltre 60 anni, sono vissuti sempre insieme.

Lei da 5 anni circa ha perso la coscienza di sé per effetto della demenza senile. All’apparenza ha assunto un carattere molto tranquillo e rilassato, in contrasto con il precedente carattere ansioso.

Lui ha perso il suo punto di riferimento e ha dovuto quindi rimettere in discussione tutto il suo modo di vivere, dedicandosi totalmente alla compagna di una vita.

I problemi da affrontare sono molti ma la conseguenze più pesanti da sopportare sono la perdita del dialogo e l’isolamento che ne deriva per tutti e due, in parte alleviate da una comunicazione non verbale ma basata soprattutto sul contatto fisico. Alla fine restano solo loro due, come in una bolla, ognuno nel suo silenzio.

Lui avvolto nei suoi pensieri, lei chissà.

Il popolo dei boschi

Si fanno chiamare elfi. I primi sono arrivati quasi 50 anni fa con un’idea: vivere insieme, in questa zona isolata dal mondo da cui provenivano, a 1.000 metri di altitudine, condividendo i beni di prima necessità.

Hanno riadattato vecchi ruderi abbandonati e ne hanno costruiti altri, utilizzando materiali presenti sul posto. Non hanno luce elettrica né gas per riscaldamento.
Alcuni hanno formato una famiglia.

Hanno molti figli, alla cui educazione dedicano molto tempo, anche con l’appoggio di tutta la comunità, e vivono utilizzando le risorse disponibili in modo limitato ai propri bisogni.

Le immagini che compongono il presente portfolio, sono state scelte dal progetto “Il popolo dei boschi”, iniziato nel 2020 e tuttora in corso, sulla gente che compone la comunità di Sambuca Pistoiese, nell’Appennino tosco-emiliano, che ha scelto di vivere nel bosco.

Gabriella

«Se nessuno ti ha insegnato ad Amare e ti succede che ti trovi a che fare con la Natura e gli animali, non per passatempo, ma per riuscire a sopravvivere e sopportare nonché supportare la propria vita, ecco che questa diventa necessità di condivisione. Ed è proprio in questi momenti che quelle capre e quelle pecore non sono solo nel campo a mangiare l’erba che cresce infestante sotto agli olivi, ma sono lì per te. I loro occhi e le loro ganasce ruminanti ti parlano anche se non corre nessun suono. In quei momenti l’unico suono che senti attraversarti è quello della compensazione. La Passione che accompagna i giorni nella loro custodia e salvaguardia da parte mia per loro, è la stessa che loro, nei loro gesti accompagnano me nel viaggio della mia vita».

Gabriella

Gabriella è una pastora. Ha scelto di fare un mestiere tradizionalmente maschile, per amore degli animali. Il suo è un lavoro faticoso: si alza quando è ancora buio e poi passa tutta la giornata a contatto con gli animali che alleva. Non solo pecore e capre, ma anche mucche, galline, colombi, un asino, un cavallo, maiali. Li nutre, pulisce i loro ricoveri, li porta al pascolo; è un rapporto quasi paritario e svolto con grande passione.

È un lavoro manuale, che non lascia giorni liberi, sporco; è agricoltura, ma qui ci sono gli animali e il letame da pulire tutti i giorni e poi ci sono i lupi che ogni tanto riescono a superare le barriere protettive.

Cos’è che attira una ragazza a fare questo lavoro? Alla base della scelta c’è probabilmente anche lo stimolo della sfida. La volontà di dimostrare che anche una donna può affrontare e risolvere le difficoltà che emergono tutti i giorni. Ma soprattutto c’è la ricerca di una vita immersa in un ambiente che ama e che la fa stare bene e soprattutto in cui si sente libera.

Gabriella lavora da sola con piccoli aiuti da collaboratori saltuari. È interessante osservare la sua vita frenetica, il suo impegno, il suo rapporto con la natura, ma sopratutto la sua totale dedizione agli animali e la gioia che emerge da questo contatto. Naturalmente come tutte le scelte, possano affiorare dei dubbi, dei rimpianti per una vita più facile e più simile a quella di sue coetanee.

Radices

Nella mia attività di agronomo ho fatto, per molti anni, la consulenza in aziende agricole gestite da agricoltori, ex-mezzadri o figli di mezzadri, con i quali si è instaurato un rapporto di grande affetto e amicizia.

Quando poi ho interrotto questa attività per dedicarmi solo all’insegnamento, e ho cominciato ad occuparmi di fotografia, mi è venuto spontaneo, tra i primi lavori, realizzare una serie di ritratti di questi agricoltori che furono anche esposti in una mostra.

Questo però non mi sembrava sufficiente per celebrare in modo adeguato la considerazione che ho per questi lavoratori della terra che ammiro per la passione per il loro lavoro e l’energia che, anche da anziani, mostrano sui campi.

Ho deciso così di ricontattarli tutti e con l’aiuto degli amici della Confederazione Italiana Agricoltori, ho avuto gli indirizzi dei soci del Chianti Fiorentino e del Mugello, che avessero il requisito di essere legati al mondo della mezzadria.

Ho visitato circa 40 aziende agricole, preferendo un lavoro di tipo più emozionale che documentario, avendo come obiettivo quello di raccontare con il mio sguardo questo mondo, composto da famiglie di agricoltori che da generazioni hanno fatto questo mestiere svolgendo anche un ruolo di custodi del territorio; questo è un aspetto che tanta importanza ha avuto nel passato ma che ancora oggi ha un ruolo fondamentale per cui deve essere difeso e senza il quale la gestione idrogeologica delle nostre zone instabili rischia danni imprevedibili.

La crisi economica che lo ha colpito negli ultimi decenni rischia infatti di provocarne la sparizione a favore di un modello gestito dai gruppi finanziari o in generale da grandi aziende agricole.

Questo comporterebbe probabilmente perdita di qualità nella produzione alimentare visto che su grandi appezzamenti si tende a coltivare solo ciò che conviene di più a livello economico, abbandonando invece colture più specifiche e/o meno redditizie, ma fondamentali per la biodiversità rurale.

Il titolo (“radici” in latino), vuole ricordare una parte della pianta fondamentale ma non visibile come sono le radici. Allo stesso modo il ruolo degli agricoltori è stato fondamentale per la costruzione del paesaggio, per la salvaguardia idraulica del territorio, per il mantenimento di biodiversità e per molti altri aspetti, senza apparire evidente e quindi non apprezzato in modo adeguato. Il lavoro è cominciato di fatto nel 2018 ed è terminato nel 2024.